Guardando la TV, girando per luoghi dove Ares ha fatto terapia, vedendo alcuni ragazzi della scuola, osservando qua e là, mi accorgo di quanto sia spesso difficile accettare la pesante diagnosi.
Mi ricordo il giorno in cui mi comunicarono la diagnosi di Ares, ero incinta della mia seconda bambina, e avevo un discorso pronto da dire alla psicologa che aveva fatto la lunga valutazione: “guardi che quello che dirà ora condizionerà per sempre la vita di mio figlio, quindi io spero che Lei abbia ben chiaro quello che sta per dirmi, qualunque cosa sia, altrimenti io la denuncio!” … o qualcosa di simile.
Ovviamente la diagnosi arrivò lo stesso. Settimana da dimenticare. Mi svegliavo la notte piangendo: “ma cosa ho fatto, ma perché a me, ma riuscirò a curarlo?, sarà certa questa diagnosi?
Da lì in poi avevo due strade. La prima: piangermi addosso per il resto della mia esistenza, maledicendo il destino, gli sbagli commessi in passato, il Sole e la Luna. La seconda: rimboccarmi le maniche e cercare di capire di più, cercare a che punto erano le terapie, le cure eventuali, sentire altri genitori con figli autistici, frequentare bambini autistici per vedere a che livello di gravità era mio figlio. Inutile dirvi che io scelsi la seconda via. Ed eccomi qua.
Da sempre circoscrivo la sofferenza ad un periodo ristretto. Soffrire a lungo lacera, di conseguenza ho sviluppato una forza interiore che non mi consente di soffrire più di un’ora. Non posso permettermi di essere sofferente. Un genitore con l’autismo in casa deve essere sempre perfetto, entusiasta, creativo, e soprattutto PAZIENTE: paziente per sopportare il ripetersi incessante delle stereotipie verbali del proprio figlio e paziente quando decide di attivarsi per estinguerle. Paziente quando è in giro e la gente ti guarda come se fossi una povera disgraziata con un gigantesco macigno addosso.
Sapete che c’è? A me non importa di nessuno. Io non giustifico mai Ares per strada, caso mai spiego, se mi viene chiesto. Quando lo presento dico sempre: “eccolo il mio fantastico ragazzo autistico”. Troppo orgogliosa di essere sua madre.
Nessuno sa di come festeggio, addirittura con lo spumante, quando Ares chiede per la prima volta: “chi è che canta”? a 15 anni. Oppure quando si è allacciato le scarpe da solo per la prima volta a 14, o quando ha cominciato a prepararsi il latte con il cioccolatto a 13. In ognuna di queste azioni quotidiane, io mi sento immensa, irraggiungibile. Non ho mai pensato che non fosse dura! Volevo un figlio autistico? Ma scherzate? Assolutamente avrei preferito che Ares fosse ora un bellissimo ragazzo italo-cubano con fidanzate di ogni genere che venivano a suonare al mio citofono. Oppure uno sportivo geloso della sorellina, con cui litiga di rado.
Invece è autistico, non penso si sposerà mai, è ripetitivo, stereotipato, fissato con l’ordine dei telecomandi a casa, balla dondolandosi e già mi ha rotto un letto ed un divano, a volte ha delle crisi, senza un motivo apparente e devo stare ore ad indovinare perché, cosa l’ha generata, come posso migliorare… un disastro, ragazzi, un sacrificio immane.
Ma, Ares mi ha fatto vedere il mondo con altri occhi, mi ha arricchita con le sue stranezze, con i suoi ragionamenti limpidi e privi di filtri, di doppi sensi. Mi ha trasformata in una donna migliore, ed io non posso che ringraziarlo per questo.
ACEPTAR EL AUTISMO
Mirando la televisiòn, yendo a varios lugares donde Ares hace terapia, viendo algunos casos de chicos de la escuela, observando aquì y allà, me doy cuenta de cuànto sea difìcil aceptar la inmensa diàgnosis que es el Autismo.
Recuerdo cuando me dieron la mia sobre Ares, estaba embarazada de mi segunda hija, y habìa preparado un discurso para la psicòloga que me habìa hecho la valoraciòn del niño: “mire, por favor, lo que usted me dirà ahora puede condicionar para siempre la vida de mi hijo, asì que trate de estar segura y consciente de lo que me dirà, porque sino, yo le hago una denuncia”… o algo similar.
Obviamente la diàgnosis me llegò igual. Una pesadilla aquella semana. Me despertaba por la madrugada llorando: “què habrè hecho, por què a mi, lograrè curarlo?, serà verdad lo que me dijeron?”.
A partir de ese momento tenìa dos caminos. El primero: llorar el resto de mi existencia, maldiciendo el destino, los errores que cometì en mi vida, el Sol, la Luna. La segunda: quitarme los guantes y empezar a trabajar duro, buscar informaciones para ver hasta dònde habìan llegado las terapias del autismo, las curas posibles, hablar con otros padres, ver con mis proprios ojos otros autistas para verificar la real gravedad de mi hijo. Bueno, es inùtil decirles que yo escogì el segundo camino. Y aquì estoy.
He siempre circunscrito el sufrimiento a un periodo especìfico. Sufrir demasiado hace daño, por lo que he desarrollado una fuerza interior que no me permite de sufrir màs de una hora. No puedo sufrir. La madre de un autista no debe sufrir, tiene que ser entusiasta, disponible, creativa y sobre todo paciente. Paciente para poder repetir las obsesiones verbales del proprio hijo, paciente si decide de extinguir esas obsesiones, paciente cuando paseas con èl y la gente te mira como si fueras una pobre desgraciada con una cruz enorme en las espaldas.
Saben una cosa? A mi no me importa nadie y nada. Yo nunca justifico a Ares por la calle, si es necesario explico, pero solamente si me lo piden. Cuando lo presento a alguien digo siempre: “aquì està mi maravilloso joven autista”. Estoy orgullosa de mi hijo.
Nadie sabe nada de cuando festejo con vino espumoso el hecho de que Ares pregunte por primera vez “por què?”, a 15 años, o de cuando se logra amarrar los zapatos, a los14, o de cuando prepara solo, por primera vez la leche con chocolate, a los 13. En cada una de estas situaciones yo me siento inmensa, inalcanzable, es durìsimo, quièn dice que no?. Querìa un hijo autista? Claro que no! Hubiera preferido un joven italo-cubano con miles de novias que tocan siempre a la puerta, o un joven deportivo, celoso de su hermana, con la cual discute poco.
Sin embargo es autista. Non creo que se casarà nunca, es repetitivo, tiene fijaciones con el orden de los mandos de la tv, se balancea para bailar y por ello me ha roto ya una cama y un sofà. A veces tiene crisis sin una causa aparente, y tengo que ponerme ahì a buscar motivos, a ver còmo puedo mejorar, todo un desastre, gente, un sacrificio enorme.
Pero la verdad es que Ares me ha enseñado a ver el mundo con otros ojos, me ha enriquecida con sus rarezas, con su manera limpia y transparente de ver las cosas, sin filtros, ni doble sentidos. Me ha transformado en una mujer mejor, y yo por todo ello le agradezco.
Gracias por su tiempo,
Bàrbara
8 commenti
Devi accedere per postare un commento.