Autismo: omosessualità, incesto… Sessualità alter-abili. Un libro da leggere

Dunque, mi sono letta questo testo che sottopongo alla vostra considerazione nel tentativo di darvi una visione ampia e ricercata di come intendiamo l’identità sessuale nei disabili.

Sono mesi che cerco testi sull’omosessualità nei disabili intellettivi, e mi sono resa conto che il tema è stato davvero poco affrontato nella letteratura italiana che riguarda la Psicologia, mi sono spinta fino a testi in spagnolo ed inglese, ma neanche lì ho trovato un  granchè. Non che se ne parli molto in questo libro, ma la serietà e la professionalità con cui viene trattato il delicato tema del sesso nei disabili merita una nostra accurata  lettura.

Ho già trattato i seguenti temi  (sulla sessualità) nel Blog, che comunque vi consiglio di leggere:

SESSUALITÀ E AUTISMO. LA MASTURBAZIONE E I COMPORTAMENTI INAPPROPRIATI.

MASTURBAZIONE COMPULSIVA E INADEGUATA. COME E QUANDO COMINCIARE A PREVENIRLA

PAGARE IL SESSO PER MIO FIGLIO DISABILE. UN INTERESSANTE ARTICOLO DI IL ROSSO CILIEGIA

AUTISMO E SESSO. PROGRAMMARE LA MASTURBAZIONE E CREARE UN LIBRO “PORNOGRAFICO”

Il libro di cui vi parlo ora si chiama Sessualità Alter-abili, di Stefano Federici, con la presentazione della Dottoressa Marta Olivetti Belardinelli, e “raccoglie i dati di una rilevazione effettuata in diversi centri italiani, religiosi e laici, che accolgono persone con disabilità, sulla modalità di riconoscimento, accoglienza ed educazione della sessualità, vale a dire, sulle influenze socioambientali nello sviluppo della sessualità di persone disabili in Italia. Lo studio ha portato ad un livello critico ciò che è facilmente riscontrabile nell’ambito della disabilità, ovverosia, come nei centri d’accoglienza delle persone disabili, siano essi pubblici o privati, religiosi o laici, e nelle stesse famiglie di figli con disabilità, il problema dell’educazione sessuale rimanga, per così dire, latente, sommerso e come, perciò, esso non rientri nelle finalità esplicite del progetto educativo dei medesimi”.

Vi sottolineo alcuni pochi passaggi del libro per coinvolgervi maggiormente nella sua lettura: in neretto trovate le domande dell’autore al team di esperti dei centri di riabilitazione, fra virgolette trovate le loro risposte, ed il resto sono le valutazioni dell’autore attinenti alle risposte ricevute. E’ davvero, ma davvero interessante! Tuttavia, mi raccomando, il libro va letto tutto perché ogni riga ci appartiene, ogni argomento trattato ci interessa!

In questa mia ridotta sintesi non faccio riferimenti all’incesto, che invece dovrete andare a cercare nel libro, tema che viene affrontato dall’autore nelle domande poste al personale dei centri, argomento tabù, che però si verifica spesso da parte dei genitori, soprattutto da parte delle mamme nei confronti dei maschi, nel tentativo di soddisfare o contenere la pulsione del figlio. 

Lascio quindi, a voi, le vostre personali considerazioni sul punto a cui siamo arrivati quando si parla di identità sessuale nei disabili: 

«Avete utenti omosessuali?»

«No. Ci stanno, tra i ragazzi, adolescenti che hanno atteggiamenti omosessuali. Però non le definirei persone omosessuali».

«Cosa glielo fa pensare?»

«Che l’omosessualità è comunque una fase adolescenziale della crescita».

«Quindi ha anche verificato che sia stata una fase superata?»

«No, non è questo sicuramente, perché in nessuno di loro c’è una maturità tale che gli permetta di vivere una sessualità, come dicevo anche prima, espressa. Però, insomma… non lo definirei un’omosessuale manifesto solo per alcuni suoi atteggiamenti come quello di toccare un altro compagno. Forse perché si sente che non c’è quella… Non so come dire… È quasi una cosa vissuta in purezza. Con i ragazzi con handicap mentale c’è questo elemento di…»

È opportuno fermarci ad osservare che alla domanda circa la presenza o meno di utenti omosessuali il signor F.A. abbia risposto negativamente, cosa del tutto plausibile, motivando che gli atteggiamenti che potrebbero ricondursi a tendenze omofile non sono da intendersi omosessuali, per la ‘purezza’ dei soggetti. Lo scivolamento al livello morale è stato, direi, inarrestabile, parlando di omosessualità. Che non ci sia presenza di persone disabili omosessuali, dato il piccolo numero di utenti è possibile, ma che non vi siano perché gli utenti sono ritenuti puri è preconcetto. Questo fa supporre che la comprensione della realtà omosessuale non è recepita scevra da tutti quei giudizi etici e culturali che questa parola evoca nel vissuto del mio interlocutore.

«Si potrebbe verificare, per un disabile, il caso di un’omosessualità come identità strutturata nella persona o, come altri sostengono, di origine genetica: questa possibilità per voi è pensabile e prevista?»

«No. Non è pensabile, come non è pensabile per l’eterosessualità, perché siamo in un centro di riabilitazione, in una comunità dove i comportamenti si devono attenere a determinate regole».

Il discorso mi sembra chiaro. Ho cercato di sapere, innanzitutto, quale fosse il loro modo di considerare l’omosessualità, per poi, eventualmente, chiedere quale fosse il loro comportamento al riguardo. Mentre, la posizione è stata netta fin dalle prime risposte: l’omosessualità è una deviazione dal comportamento sano e corretto che è quello eterosessuale. Quando ho cercato di approfondire questo discorso, due sono state le ragioni addotte a difesa di questa posizione che oggi è scientificamente difficile da sostenere. La prima è che la manifestazione sessuale del disabile è “differenziale”, e, pertanto, non possiamo permetterci di adottare categorie proprie alla normalità. Da ciò deriverebbe che è difficile anche riconoscere una vera eterosessualità. Il tutto sembra però contraddire l’altra ragione addotta: che, cioè, la regola sociale della comunità non permetterebbe comunque l’esercizio di alcuna vita sessuale nel Centro sia essa omosessuale sia essa eterosessuale.

Questa la risposta alla domanda circa le ragioni dell’omosessualità; come dire che non ha importanza porsi interrogativi al riguardo, dato che comunque le regole sociali impongono norme di comportamento che prescindono dalla diversità delle persone. Se pure può trovare consensi o comunque aprire interrogativi l’ipotesi di una manifestazione differenziale della sessualità di un disabile, mi lascia perplesso che la risposta alla differenza sia l’imposizione della regola sociale, che vuole imporre ad una sessualità differente comportamenti di un’affettività cosiddetta normale. In altri termini è come intervenire sulle manifestazioni genitali di un bambino imponendogli il comportamento di un adulto: mi sembra la stessa svista psicopedagogica.

 

RIGUARDO LA MASTURBAZIONE:

«Comunque, in quei casi in cui si manifesta la masturbazione, come si deve comportare un vostro operatore?»

«Intanto deve aver chiaro il momento che il ragazzo sta passando, perché la masturbazione ha tanti significati. Può essere anche legata a delle situazioni di tensione, di disagio; quindi può avere una valenza di tutt’altro significato rispetto a quella che è la tensione sessuale. Comunque c’è un orientamento di questo tipo: non viene bloccata o castrata la masturbazione, viene orientata rispetto a quelli che sono gli ambienti privati. Per cui il ragazzo viene consigliato a non farla davanti agli altri…» «— È una questione educativa —» «…ma di andare al bagno per esempio. E non viene fatto altro, riguardo la masturbazione, tranne, appunto, che sull’indicazione della differenziazione tra pubblico e privato. Interveniamo molto di più in caso di compulsività. 

“Sull’educazione sessuale di disabili mentali interveniamo di più, perché è più presente il disagio, la tensione che in questo caso assume l’espressione della pulsione sessuale. Si dice al ragazzo che davanti a… non è il caso; che è meglio che si orienti privatamente perché, anche se la masturbazione è importante, ha bisogno del suo privato. Poi la cosa finisce e tutto si ricompone. Mentre invece la compulsività ha un significato naturalmente più preciso…», «…già patologico…», «…espressione di un disagio. Per cui, si interviene con una relazione che sia più presente, orientando le attività in modo più dinamico, che presuppongano uno sforzo fisico, non trascurando di valutare le ragioni del disagio. Diciamo che l’atteggiamento in genere è questo: ricercare il senso, i significati dei comportamenti e quindi muoverci opportunamente».

«Io credo che nella maggior parte dei casi… spesso e volentieri quello che avviene con questi ragazzi è che nei centri di riabilitazione sono tenuti come in dei parcheggi, e questo, indubbiamente, non fa che favorire le loro pulsioni. Se un ragazzo si annoia e gli viene… è normale che si scatenino anche le parti più animali dell’essere umano. Io credo che anche la pulsione sessuale, se ad un ragazzo veramente gli si dà la possibilità di impegnarsi, di trovare delle attività che il ragazzo fa volentieri e che lo nutrono sotto tanti aspetti, è molto meno forte. Io insisto su questo elemento di purezza che portano con sé questi ragazzi”

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