Il trattamento dei disturbi del linguaggio all’interno dell’intervento comportamentale

 

II trattamento dei disturbi del linguaggio può costituire un’aggiunta importante e vantaggiosa all’intervento comportamentale. Infatti, se combinati adeguatamente, i due interventi possono completarsi a vicenda per rendere ancora più efficace il programma.

Un approccio di questo tipo consente l’apprendimento del linguaggio sia in modo strutturato che naturale, in quanto un terapeuta esperto può stimolare un corretto intervento nell’ambito della pragmatica (per esempio, l’uso sociale del linguaggio), può aiutare a sviluppare obiettivi linguistici coerenti con la normale sequenza di sviluppo, introdurre i principi del linguaggio simbolico e astratto e, cosa più importante, massimizzare le abilità complessive di comunicazione.

E importante notare, comunque, che molti programmi il cui esito è stato positivo, hanno fatto ricorso solo all’intervento comportamentale, data la difficoltà a trovare uno specialista nel linguaggio che si occupi di bambini in difficoltà. I corsi di laurea, generalmente, preparano gli specialisti a svolgere determinati compiti: alcuni terapeuti del linguaggio, per esempio, sono abilitati a occuparsi della riabilitazione delle persone anziane che, a seguito di un infortunio o di un ictus, hanno problemi linguistici, mentre altri sono specializzati nella diagnosi e nel trattamento della balbuzie o dei disturbi della fonazione. Pertanto, è comprensibile che alcuni terapeuti del linguaggio non siano preparati o non desiderino cimentarsi nell’arduo compito di insegnare a un bambino con disabilità linguistiche a parlare o a comunicare.

Quelle famiglie abbastanza fortunate da avere a disposizione sia uno specialista in terapia comportamentale che un terapeuta del linguaggio in grado di lavorare con un bambino piccolo, dovrebbero prendere in considerazione l’opportunità di realizzare un intervento combinato. Ma nel caso in cui l’età del bambino non consenta di attendere altro tempo per la terapia, sarebbe saggio iniziare l’intervento anche con uno solo dei due specialisti, piuttosto che attendere di trovare lo specialista che manca.

Mi auguro che questo capitolo possa rivelarsi utile per i terapeuti del linguaggio, in modo tale da consentire loro di dedicarsi ai bambini autistici, e che risulti utile anche per quelle persone che non si occupano di disturbi del linguaggio affinchè possano capire in che cosa può consistere l’intervento sui problemi linguistici.
Alcuni dei concetti inerenti il linguaggio che vi presenteremo nelle prossime pagine, possono essere considerati fondamentali e adeguati per molti bambini con problemi di linguaggio, mentre altri sono utili solo nel caso che si abbia a che fare con bambini autistici.

 


Coordinare la terapia del linguaggio con l’intervento comportamentale

Nel caso in cui venga aggiunta la terapia del linguaggio a quella
comportamentale, è fondamentale una buona coordinazione: tutti gli obiettivi dovrebbero contribuire a far conseguire un risultato comune per costruire l’eloquio, il linguaggio, il gioco e le abilità sociali. Nei prossimi paragrafi vi offriamo alcuni suggerimenti per coordinare le due discipline.

  1. Per facilitare la generalizzazione delle abilità apprese, il terapeuta del
    linguaggio deve sviluppare obiettivi linguistici simili a quelli previsti
    dall’intervento comportamentale. Per esempio, se con l’intervento comportamentale ci si attende che il bambino sappia denominare gli oggetti e rispondere alla domanda “Che cosa è questo?”, dal punto di vista linguistico si può utilizzare il medesimo vocabolario e richiedere al bambino gli stessi oggetti in un contesto di gioco poco strutturato. In questo modo, entrambi gli obiettivi si concentrano sul medesimo vocabolario.
  2. Il terapeuta del linguaggio deve contribuire a rendere il più comunicativi e funzionali possibile gli obiettivi dell’intervento comportamentale. Per esempio, egli può sviluppare programmi che si concentrano su oggetti a cui il bambino è molto interessato oppure focalizzarsi su un programma dedicato alle abilità recettive o espressive, nel corso del quale il bambino potrebbe giocare per qualche minuto con un determinato oggetto dopo che ha fornito la risposta richiesta.
  3. Il terapeuta del linguaggio può arricchire gli obiettivi linguistici individuati nell’ambito dell’intervento comportamentale. Egli può suggerire agli altri terapeuti come rimediare a specifici errori nell’emissione dei suoni, per esempio insegnando loro il modo in cui mettere una mano alla gola per insegnare al bambino il suono della “e” dura.
  4. Il terapeuta del linguaggio dovrebbe garantire che tutti i terapeuti utilizzino un vocabolario simile mentre lavorano sui loro obiettivi. Per esempio, se il bambino è impegnato in un compito di esecuzione di comandi semplici, tutti i terapeuti dovrebbero concentrarsi su quei particolari comandi nel momento in cui utilizzano particolari oggetti, come bambole o pupazzi. Se, all’interno del programma comportamentale, il bambino sta lavorando sull’imitazione
    gestuale, il terapeuta del linguaggio può anche far riferimento agli stessi
    compiti di imitazione, per stimolare una specifica produzione linguistica,
    usando i medesimi giocattoli che sono previsti dal programma
    comportamentale. Naturalmente, l’esigenza di usare linguaggio e materiali simili all’interno di tutte le sessioni di insegnamento diventerà meno importante man mano che le abilità comunicative e linguistiche del bambino aumenteranno.
  5. Il terapeuta del linguaggio può informare gli altri terapeuti e i genitori sulle forme linguistiche da potenziare anche sulla base del normale sviluppo delle abilità comunicative. In questo contesto, egli può contribuire al lavoro del gruppo rivedendo periodicamente gli obiettivi linguistici, man mano che l’intervento comportamentale procede.
  6. Il terapeuta del linguaggio può dimostrare come perseguire obiettivi linguistici specifici nel corso di attività quotidiane (come mangiare, farsi il bagno e andare a dormire). Egli può anche stimolare i genitori e gli operatori a fare delle descrizioni delle attività in corso, considerando le abilità oggetto dell’intervento; tutto ciò può stimolare anche una maggiore partecipazione del bambino alle attività. Se per esempio il bambino sta lavorando sulle preposizioni, l’adulto potrebbe dirgli: “Prima si versa l’acqua nella pentola e poi si mettono dentro il sale e gli spaghetti” e così via. Questo tipo di commento può essere adattato a tutti i livelli linguistici e alle diverse situazioni.
  7. II terapeuta del linguaggio deve aiutare a individuare e utilizzare
    correttamente i rinforzatori – sia tangibili, come cibo, figurine e giocattoli,
    che sociali, come lodi, abbracci ecc. Il terapeuta del linguaggio può contribuire a fare in modo che il rinforzamento sia usato in modo logico e funzionale; per esempio, se il bambino chiede una figurina, il rinforzatore giusto sarà la figurina e non una caramella.
  8. Per garantire che si ricavi il massimo beneficio possibile dalle interazioni, il terapeuta del linguaggio dovrebbe analizzare come le abilità linguistiche sono usate in classe o all’interno del gruppo di gioco e fornire a riguardo suggerimenti e indicazioni. Per esempio, se il terapeuta del linguaggio nota che gli insegnanti danno al bambino una merendina o un giocattolo quando egli strilla, potrebbe aiutarli a individuare modalità più corrette per gestire le situazioni e potenziare le abilità comunicative. Egli può suggerire dei modi per aiutare il bambino a interagire più frequentemente con i pari, per esempio,
    può suggerire all’insegnante di dare al bambino un giocattolo che piace a un altro compagno, per poi incoraggiare i due allievi a giocare insieme; oppure può mostrare all’insegnante come insegnare al bambino a domandare dei giocattoli o una merendina a un suo compagno. L’insegnante di classe può anche prevedere di realizzare delle attività da far svolgere in coppia e appaiare il bambino con un compagno che può essere un buon modello linguistico.
  9. Il terapeuta del linguaggio può anche aiutare a individuare e ridurre specifiche difficoltà linguistiche. Se, per esempio, il bambino non riesce a ricordare i nomi degli oggetti, il terapeuta del linguaggio può programmare compiti di categorizzazione e conoscenza delle parole, facendogli fare esercizi di vocabolario che coinvolgono sinonimi o contrari di determinate parole. Spesso questo tipo di esercizi aiutano il bambino a ricordare e utilizzare un numero più consistente di parole.
  10. II terapeuta del linguaggio può anche contribuire al trattamento di altre problematiche che possono essere presenti (per esempio l’aprassia, che è un problema di sequenza motoria, o la disartria, che è dovuta a una scarsa funzionalità dei muscoli impegnati nel linguaggio).

Complessivamente, ogni qualvolta si realizza un intervento in ambito linguistico e comportamentale, ci aspettiamo di lavorare per conseguire obiettivi simili, anche se in modi diversi. Quando si pianifica un programma per l’ambito linguistico sarebbe preferibile includere alcune tecniche di facilitazione del linguaggio che possono essere usate da altri terapeuti e dai genitori (per una discussione approfondita di queste strategie vi rinviamo al capitolo seguente).

Aspetti della comunicazione

L’intervento nell’ambito linguistico può tentare di perseguire diversi obiettivi. Al fine di individuare tali obiettivi, il terapeuta dovrebbe valutare vari aspetti della comunicazione.

  1. Il terapeuta del linguaggio dovrebbe determinare in primo luogo qual è il grado di comunicazione intenzionale del bambino. Per atto comunicativo intenzionale o comunicazione intenzionale i terapeuti del linguaggio intendono un comportamento attuato deliberatamente per perseguire un obiettivo e che ha un effetto prevedibile su un’altra persona. La maggior parte delle tecniche usate per valutare la comunicazione intenzionale richiede un maggior grado di inferenzialità di quelle usate nei programmi comportamentali.
    Per determinare il grado di comunicazione intenzionale, il terapeuta
    del linguaggio può esaminare se e come il bambino richiede delle cose, saluta o commenta degli avvenimenti. Questo può essere normalmente fatto durante il gioco o durante alcune situazioni strutturate, progettate per stimolare la comunicazione attraverso gesti, vocalizzazioni e/o parole.
    Situazioni strutturate di questo tipo sono state escogitate da Wetherby e Prutting (1984). Il terapeuta, per esempio, potrebbe spingere la mano del bambino su una fetta di dolce, magari per suscitare una protesta, oppure potrebbe gonfiare un palloncino e poi lasciarlo sgonfiare per stimolare la richiesta di gonfiarne uno nuovo. Il terapeuta del linguaggio tenta di determinare se il bambino si serve di un comportamento per realizzare un obiettivo desiderato. 

Le domande cruciali sono “C’è consapevolezza dell’obiettivo?” e “Qual è la risposta del bambino se l’obiettivo non viene raggiunto?”.

Le risposte a queste domande dipendono da svariati fattori, uno dei quali è la perseveranza del bambino: il bambino continuerà a strattonare il terapeuta finché questi non gonfierà un nuovo palloncino o batterà il palloncino sul tavolo finché il terapeuta non lo gonfierà nuovamente? Anche ravvicinarsi del bambino al terapeuta o a un oggetto potrebbe essere un segnale di intenzionalità, così come spostarsi più vicino a un oggetto o al terapeuta potrebbe indicare una richiesta. Anche la direzione dello sguardo può essere indice di una certa intenzionalità: se il bambino vocalizza e guarda un oggetto o guarda l’oggetto e poi il terapeuta, questo comportamento potrebbe essere una prova di comunicazione intenzionale.

Il linguaggio corporeo, come l’irrigidimento o i cambiamenti nella posizione delle mani, potrebbe essere interpretato come una comunicazione intenzionale se persiste finché l’obiettivo è raggiunto o se è ripetuto quando la “tentazione di comunicazione” è nuovamente messa in atto. Occorre anche osservare la persistenza e la coerenza di comportamenti inadeguati (come colpire, urlare o saltare) per stabilire se servono uno scopo comunicativo.
Sulla base di queste osservazioni, il terapeuta cerca di potenziare una serie di comportamenti più adattivi come indicare o fare segno di “no” scuotendo la testa, che sono precursori del linguaggio verbale.

A tal fine possono essere utilizzati anche particolari giochi, come quelli in cui si seguono dei turni.

2.   Il terapeuta del linguaggio deve anche occuparsi delle funzioni comunicative. Di solito, la comunicazione avviene per le seguenti funzioni o ragioni:
a) per regolare il comportamento di un altro, incluso chiedere un oggetto, un’azione o protestare;
b) per partecipare alle interazioni sociali, inclusi gli atti convenzionali, il
mettersi in posa, salutare, riconoscere e chiamare;
e) per catturare l’attenzione, fornire informazioni e richiederne.

Queste funzioni comunicative hanno un diverso grado di impatto sociale, che è minimo per la regolazione comportamentale e massimo per la cattura dell’attenzione. Di solito, la comunicazione dei bambini autistici serve a regolare il comportamento di un altro (Wetherby, 1986), mentre la comunicazione dei bambini normali racchiude tutte e tre le funzioni su indicate. Il terapeuta del linguaggio deve individuare degli obiettivi che mirino a far sì che questi bambini utilizzino la comunicazione anche per altre ragioni, agendo nei seguenti modi:

a. introducendo nella terapia le routine sociali come giocare a nascondino, a “bau-sette” o a qualunque altro tipo di gioco sociale che il bambino gradisca. L’elemento essenziale sta nel far iniziare il gioco al bambino;
b. concentrandosi sulla consuetudine di porgere i saluti alle persone reali, agli animali e ai pupazzi;
c. incoraggiando, fin dai primissimi stadi della terapia, l’indicare gli oggetti che interessano facendo seguire dei commenti verbali alle parole che il bambino produce

3. Il terapeuta del linguaggio deve prendere in considerazione le forme di comunicazione utilizzate dal bambino. Per comunicare il bambino usa gesti, vocalizzazioni, manipolazione, ecolalia, urli o parole? Usa mezzi di comunicazione convenzionali (come indicare o usare le parole) o non
convenzionali (come urlare, scagliare oggetti ecc.)?

4. Il terapeuta del linguaggio può aiutare il gruppo nella formulazione di obiettivi che permettono di rendere la comunicazione più convenzionale; per esempio, può insegnare al bambino a fare un cenno di “no” con la testa anziché urlare o scagliare oggetti. Quando il bambino dimostra di saper usare la comunicazione convenzionale, il terapeuta può insegnare a usare mezzi comunicativi più complessi: per esempio, può insegnargli a usare l’approssimazione (“a” per “aprire”) quando il bambino porge degli oggetti al terapeuta perché glieli apra; può insegnargli a servirsi di una parola quando riesce a usare l’approssimazione; può insegnargli a usare due parole se fino a quel momento impiegava frasi di una parola.

È importante tenere in considerazione i mezzi di comunicazione utilizzati per ciascuna funzione comunicativa, perché possono essere diversi. Se per regolare il comportamento di qualcuno, ad esempio, chiedendo un oggetto, il bambino utilizza frasi di due parole, ma non è ancora in grado di fare commenti per partecipare all’interazione sociale, si potrebbe insegnare allo stesso a utilizzare dei gesti per commentare le azioni in corso.

5. Il terapeuta del linguaggio deve occuparsi della frequenza della
comunicazione. Più un bambino comunica meglio è, perché questo può diminuire la sua frustrazione e aumentare i rapporti con le altre persone. A questo proposito, si possono utilizzare delle specifiche situazioni per aiutare il bambino a iniziare la comunicazione. Per esempio, se il bambino lo gradisce, il terapeuta può caricare un giocattolo a molla e poi lasciare che si fermi.
Quando il bambino porge nuovamente il giocattolo al terapeuta o dimostra di voler giocare ancora, il terapeuta può modellare una parola o un suono bersaglio (“ancora”) per stimolare il comportamento imitativo del bambino.
Questo procedimento andrebbe ripetuto ogni volta che il giocattolo si ferma.
Un altro esempio potrebbe essere rovesciare “accidentalmente” del colore sul tavolo, dire: “Oh oh!” e aiutare il bambino a osservare questo piccolo incidente; anche in questo caso si dovrebbe ripetere la situazione e stimolare la produzione verbale “oh oh!”. Quando qualcosa nell’ambiente di vita si modifica, anche i bambini comunicano. Così il terapeuta potrebbe spostare qualche elemento di arredo o nascondere uno dei giocattoli preferiti del bambino, per fornirgli la possibilità di fare un commento. Le richieste si possono incoraggiare anche mettendo un giocattolo o un cibo preferito su uno scaffale, ben in vista ma fuori dalla portata del bambino. Finché il bambino è interessato, il modellamento ripetuto e l’attesa possono aumentare la frequenza della comunicazione. 

In sintesi, esaminare le capacità comunicative può permettere di individuare specifici obiettivi come (a) aumentare il grado di comunicazione intenzionale; (b)
facilitare il ricorso a un’ampia gamma di funzioni comunicative, inclusa la funzione regolatrice, la partecipazione alle interazioni sociali e la capacità di attrarre l’attenzione comune; (e) aumentare la complessità dei mezzi di comunicazione a cui la persona ricorre; (d) incentivare la frequenza della comunicazione.

Pragmatica

La pragmatica è definita come l’uso sociale del linguaggio. Le abilità pragmatiche devono essere considerate dal terapeuta del linguaggio assieme allo specialista del comportamento. La pragmatica include gli aspetti comunicativi descritti sopra (fare richieste, dichiarare e fare commenti), ma coinvolge anche molte altre abilità linguistiche verbali e non verbali. I seguenti obiettivi andrebbero tenuti in
considerazione durante tutte le fasi di intervento inerenti la pragmatica.

  1. Durante la comunicazione, il terapeuta del linguaggio deve prestare
    attenzione al contatto oculare. Se il terapeuta tiene vicino agli occhi un
    oggetto che il bambino desidera prima di darglielo, questo può facilitare il contatto oculare. Se il bambino è un po’ più maturo dal punto di vista linguistico, un’altra tecnica per facilitare il contatto oculare può consistere nel coinvolgerlo in un gioco che prevede il guardare e il domandare, prima che una data azione possa accadere (“Ricorda che la regola del gioco è guardarmi e dire: ‘tocca a me'”).
  2. Il terapeuta del linguaggio dovrebbe assicurarsi che il bambino utilizzi il linguaggio anche con altri terapeuti e con chiunque altro, incoraggiandolo a fare richieste, commenti e così via, in molti contesti differenti.
  3. Il terapeuta del linguaggio può anche lavorare sui cambi di turno nello svolgere un’azione. In questo caso, i giochi non verbali di presa di turno consistono prevalentemente in compiti che richiedono dei turni per completare una sequenza (per esempio lanciare la palla a un’altra persona, far correre un’automobilina giocattolo). Questi giochi, inoltre, possono focalizzarsi sull’uso del suggerimento “mio turno/tuo turno” (per esempio, il terapeuta e il bambino possono costruire assieme una torre aggiungendo a turno un blocchetto alla volta; possono completare un puzzle aggiungendo un pezzo ciascuno a turno; possono fare a turno per disegnare delle figure). Un livello superiore di abilità può consistere nel fare a turno durante una conversazione, commentando o fornendo nuove informazioni (per esempio il terapeuta può usare una frase chiave come “Parliamo di…”, dopodiché lui e il bambino
    possono fare a turno per aggiungere delle informazioni — se necessario
    usando il suggerimento “mio turno/tuo turno”).
  4. Quando è il caso, il terapeuta del linguaggio deve utilizzare una voce e un’intonazione “non terapeutica”, naturale. Quando il bambino comprende delle consegne durante le prove, il terapeuta deve cominciare a usare i medesimi ordini parlando con voce meno ferma e strutturata.
  5. Il terapeuta del linguaggio potrebbe anche fare eseguire degli ordini al bambino mentre è impegnato in altri giochi.
  6. Il terapeuta del linguaggio dovrebbe favorire la consapevolezza di situazioni insolite o di modificazioni nell’ambiente. Per stimolare il bambino a commentare queste situazioni, si possono elaborare degli obiettivi specifici. Le modificazioni ambientali possono essere incidentali o appositamente progettate (per esempio facendo cadere volontariamente i materiali didattici dal tavolo). In base al livello linguistico del bambino, si può abbinare una frase di una parola, o una frase intera, alla situazione.
  7. Quando il bambino comincia a usare brevi frasi di 3-6 parole, diventa importante insegnargli a mantenere la conversazione su un argomento. Per esempio, ogni persona può scegliere una carta tematica e provare a dire tre cose inerenti quel argomento. Se il bambino devia dal tema, si può provare a dare un suggerimento come “Noi stiamo parlando di…”. Oppure si può parlare di un avvenimento trascorso, come il fine settimana (assicurandosi di possedere le specifiche informazioni) e chiedere al bambino di dire tre cose differenti a proposito. Il punto chiave è che il bambino e il terapeuta del linguaggio aggiungano nuove informazioni al tema.
  8. E’ importante inoltre stimolare il bambino ad affrontare più argomenti ed evitare che parli spesso delle stesse cose o perseveri sullo stesso tema (per esempio dicendo: “È buffo, tu avevi già parlato delle automobili” oppure “Basta automobili. Guarda qua, il Pongo”).
  9. Anche la capacità di fare inferenze è un’abilità pragmatica di elevato livello che il terapeuta del linguaggio può iniziare a stimolare servendosi di domande “chi”, “cosa”, “dove”, “quando” e “perché”. Non appena il bambino comincia a rispondere in modo accurato a domande “chi”, “cosa”, “dove”, “quando” e “perché”, il terapeuta del linguaggio può introdurre delle domande per le quali non è ancora stata data una risposta specifica (per esempio, mostrate al
    bambino un disegno o leggetegli un brano di una storia,  dopodiché
    domandategli “Che cosa farà quel bambino adesso?”). Anche iniziare una frase con “Io penso…” può essere utile per lavorare sulle inferenze spontanee (per esempio, dopo che avete letto la frase “II coniglietto va a nanna senza cena”, provate a modellare “Io penso che il coniglietto abbia fame perché non ha mangiato”). Un altro modo interessante per facilitare le inferenze è il gioco degli indovinelli (per esempio, “Io sto pensando a una cosa gialla che di giorno sta in cielo. Indovina che cosa è”). Ricordate che il terapeuta e il bambino devono sempre fare a turno nel descrivere l’oggetto e nell’indovinarlo.
  10. II terapeuta del linguaggio deve incoraggiare l’uso del linguaggio nel contesto sociale in modi differenti. Per facilitare questo tipo di interazione è possibile usare dei giocattoli adatti al bambino (per esempio, i personaggi di Dragon Bali, la Barbie ecc.). Il vocabolario che si vuole prendere in esame dovrebbe essere quello tipico che usano i bambini di quella età. Può essere inoltre particolarmente utile coinvolgere anche i pari nel corso di questo intervento, che possono collaborare nel fare domande e commenti.

Gioco simbolico

II terapeuta del linguaggio ha un ruolo fondamentale in qualunque programma linguistico. Per gioco simbolico si intende un comportamento di gioco dei bambini in cui si usa un oggetto o un giocattolo per rappresentare qualche altra cosa. Per esempio, un bastone può essere usato come una spada oppure un blocchetto per
le costruzioni può essere usato come un telefono.
Dal punto di vista evolutivo, ci sono stadi di comportamenti di gioco
progressivamente sempre più complessi. Il gioco e il linguaggio sono
comportamenti simbolici e sono in relazione reciproca (Westby, 1988). Per massimizzare il linguaggio, il gioco simbolico è indispensabile. I prerequisiti al gioco e alle attività simboliche sono i comportamenti finalizzati (per esempio, spingere un bottone nel caso di un giocattolo a molla), l’uso di strumenti e il comportamento imitativo. Il comportamento finalizzato e l’uso di strumenti possono essere facilitati servendosi di giocattoli che funzionano spingendo un pulsante. L’imitazione può essere insegnata ricorrendo a svariati giochi, come
battere sul tamburo, giocare con le figurine facendo finta che siano personaggi che mangiano e dormono oppure pettinare le bambole. Le prime attività di gioco simbolico possono riguardare la rappresentazione di eventi familiari (per esempio fare finta di mangiare, di lavarsi i capelli ecc.). Per aumentare la complessità del gioco, si possono via via aumentare le sequenze di attività da rappresentare (per
esempio, il bambino fa finta di cucinare, di mangiare e poi di lavare i piatti oppure mette dei pupazzi in un’automobilina, fa finta di accompagnarli a scuola e poi di tornare a casa). Per stimolare un gioco più complesso ancora, si possono simulare attività meno consuete, come ad esempio fare finta di essere un poliziotto che cattura i ladri, o creare storie attorno a temi relativi a draghi e dinosauri. Per maggiori informazioni sugli stadi tipici del gioco simbolico vi
rinviamo alla Westby’s Play Scales in appendice a questo capitolo.

Questioni ulteriori

Può darsi che sia necessario prendere in considerazione ulteriori questioni, quali:
1. La comunicazione accrescitiva. Se un bambino ha delle difficoltà significative con l’articolazione o con il linguaggio espressivo, il terapeuta del linguaggio deve prendere in esame la possibilità di ricorrere ad altri mezzi di comunicazione. Di solito ci si dovrebbe concentrare sul linguaggio espressivo orale per 6-12 mesi. Se i progressi dovessero essere molto lenti, si dovrebbe prendere in considerazione una strategia diversa, come linguaggio dei segni e dispositivi del computer.
2. La comunicazione accrescitiva non ha niente a che fare con la Comunicazione facilitata e l’obiettivo che si vuole perseguire utilizzando un dispositivo accrescitivo è favorire una comunicazione il più indipendente possibile. Come abbiamo già detto, noi prendiamo in considerazione la comunicazione accrescitiva solo quando, dopo 6 mesi-un anno di lavoro sulle abilità linguistiche, non si riesce a potenziare la comunicazione verbale oppure si persegue un linguaggio scarsamente intelleggibile. Lo scopo principale connesso al ricorso a un sistema accrescitivo è di incrementare la comunicazione. Poiché è stato dimostrato che un incremento nella comunicazione aumenta il linguaggio (e non lo impedisce), servirsi il prima possibile di un sistema accrescitivo aiuterà il bambino a parlare. Quando la comunicazione verbale sarà presente, anche a livelli minimi, si può ridurre il ricorso agli strumenti utilizzati.
3. Ecolalia. L’ecolalia immediata è la ripetizione di una cosa detta poco tempo prima. L’ecolalia ritardata è la ripetizione di un’affermazione sentita in un altro contesto o situazione tempo prima. Spesso l’ecolalia ha un proposito comunicativo e in questo caso non si dovrebbe intervenire utilizzando l’estinzione. Se il bambino, in presenza di una richiesta dell’operatore ripete la frase in modo ecolalico, si potrebbe fare da modello di una risposta semplice alla domanda, utilizzando le stesse parole presenti nella domanda. Per esempio, se il bambino ripete in modo ecolalico dopo la domanda del terapeuta “vuoi del succo?”, quest’ultimo potrebbe dargli il succo e dire “sì, voglio del
succo”.

Un bambino può usare l’ecolalia ritardata per introdurre nuovi
argomenti che possono essere utilizzati dal terapeuta. Per esempio, se il
bambino dice una frase tratta da un libro, prendete il libro e aggiungete
ulteriori informazioni alla conversazione. L’ecolalia dovrebbe essere
scoraggiata quando interferisce con il processo di apprendimento, come nel caso in cui il bambino ripete le parole o le frasi dette prima che il parlante abbia finito. In questo caso, si può usare un segnale visivo per indicargli di aspettare.

4. Prosodia. La prosodia si riferisce all’intonazione del parlato. Si può rinforzare l’intonazione proponendo un modello che, soprattutto nelle prime fasi, esagera l’intonazione da dare. È inoltre importante che le diverse persone che interagiscono con il bambino facciano ciò. Si dovrebbe inoltre intervenire e rinforzare il bambino ogniqualvolta la sua voce non è monotona (per esempio, il terapeuta potrebbe dire “Wow, hai usato una bella voce. Magnifico!”).
5. Intensità vocale. L’intensità vocale è il volume della voce. Le possibilità di intervento sono simili a quelle indicate per la prosodia.

Conclusioni

II terapeuta del linguaggio e l’esperto in terapia comportamentale possono creare un rapporto per ottimizzare il programma nell’ambito linguistico. Da un punto di vista pratico è fondamentale che gli obiettivi linguistici siano misurabili e che vengano resi noti, in modo tale che tutte le persone coinvolte nel trattamento possano cogliere ogni opportunità per rinforzare le prestazioni attuate dal bambino dopo l’insegnamento. Inoltre, è importante annotare chiaramente ciò che viene fatto. Questo include registrare gli obiettivi e i dati che si raccolgono e tenere delle note chiare e concise di ciò che accade in una sorta di “giornale di bordo”. Una serie di incontri regolari e una buona comunicazione fra tutte le persone coinvolte nel trattamento garantiscono la coordinazione degli sforzi e rendono possibile un brain-storming per massimizzare l’efficacia dell’intervento.

Fonte
di Robin Parker.
dal libro di Catherine Maurice
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