Figli autistici. Crescerli con amore non basta

 

 

Ci vuole soltanto amore, amore e amore, il resto viene da sé”. “Non bisogna forzare le cose, tutto arriva con il tempo e tanto amore“. “Ci vuole pazienza con questi ragazzi speciali, io amo mio figlio e l’amore può TUTTO“. Ma basta!

Se sono frasi pronunciate da genitori con figli normo tipici, che non hanno la minima idea di cosa sia davvero l’autismo, oppure da genitori con figli che sfiorano lo spettro, ma non si trovano nei meandri del disturbo, lo posso capire, ma queste frasi dette da genitori come me, con figli autistici gravi o poco meno, mi provocano sinceramente tanta rabbia.

L’amore, ahimè, da solo NON BASTA!. Io amo mio figlio Ares più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma con l’amore non avrei potuto insegnargli a cucinare o a lavare i piatti. Se l’avessi amato e basta non sarei arrivata ai traguardi impensabili che lui ha raggiunto. Soltanto amandolo non sarei in grado oggi, di dirvi la sequenza che ho utilizzato per insegnare ad Ares a stendere i panni o a fare la spesa.IMG_20190914_1724215

Se continuiamo a far passare l’idea che “basta l’amore”, non otterremo mai nulla di quello che veramente serve per aiutare concretamente i nostri figli: le terapie comportamentali gratuite, i diritti di vivere una vita dignitosa dopo la nostra morte.

Le risorse di base per un insegnamento mirato non arrivano con il solo amore. Mi dispiace, ma è così! Baciarlo, abbracciarlo, coccolarlo, tutto bello e necessario, anzi, imprescindibile. Ma se hai un figlio autistico, puoi metterci tutto l’amore del mondo, ma non imparerà mai ad accettare i NO soltanto con un abbraccio. Serve una strategia, e non solo, serve una strategia che funzioni!

I traguardi arrivano con il tempo?

Neanche lontanamente. Anzi, spesso un’abilità che non insegni nell’infanzia diventa difficile da proporre in età adulta, oppure un problema serio che non estingui quando il bambino è piccolo, peggiora con la crescita, si trasforma in qualcosa di impossibile da estirpare e quindi sovrasta tutti.

E’ chiaro che ci si prova a 7 anni ad insegnare un’abilità e se non ci riusciamo la riproponiamo a 15. Ma appunto, la riproponiamo. Se non siamo noi ad indicare una strada, difficilmente nostro figlio farà da se’ soltanto perchè è cresciuto e il tempo è passato. Esistono eccezioni, per carità, ma la regola è che va insegnata ogni cosa.

Un bambino normo tipico che non impara a cucinare da piccolino, un giorno, quando resterà da solo in una città diversa insieme al coinquilino, sarà costretto a cucinare, e lo farà: la pasta o la frittata saranno un disastro, ma avrà cucinato, senza che nessuno glielo abbia mai insegnato perchè ha visto la madre e ricorda qualche passaggio delle ricette. Un ragazzo autistico che non impara a cucinare, con le giuste strategie di insegnamento, non mangerà, oppure resterà bruciato nel tentativo di provare ad accendere il fuoco.

L’overdose affettiva per questo figlio disabile che non è in grado di fare tutto e che sembrerebbe non capisca nulla, quando invece non è così, rischia di viziarlo in maniera smisurata e rischia di bloccare le sue capacità di indipendenza.

Fare il bene del proprio figlio non si limita all’abbraccio prima di dormire o al bacio IMG-20170704-WA0068prima che entri in classe, ma è molto più complesso e a volte sembra dissonante con l’idea dell’amore. La forma più difficile di amare è quella che lavora per promuovere le autonomie, quella che insiste perché il proprio figlio si vesta da solo, si lavi da solo, cucini, spazzi, stiri.

La forma più difficile di amare è quella che vieta, che impone delle regole, che dice NO quando lo si ritiene necessario. Non stiamo educando i nostri figli affinchè un giorno possano “spiccare il volo” come gli altri, (perchè sappiamo che la maggior parte dei nostri  ragazzi resta con noi), ma ciò non deve impedirci di provare, con tutte le nostre forze, a renderli migliori. Anzi, è proprio perchè sono disabili che hanno ancora più bisogno di conoscere per riuscire a confrontarsi con il mondo. Per renderli migliori non basta quindi baciarli, fotografarli, abbracciarli… ci vuole lo strumento, l’informazione, la preparazione, il riscontro.

Il punto quindi non è non amarli o non baciarli o non coccolarli, sia chiaro. Io bacio e abbraccio Ares tutti i giorni ed è un momento bellissimo per entrambi. Il punto è distinguere quella spontanea forma di amore dal permissivismo, dalla sottintesa e sottile commiserazione, dal voler sostituirsi al proprio figlio anche quando non è affatto necessario.

Insomma, fare il bene del proprio figlio è completamente diverso dal volergli bene.