Linee Guida per l’inserimento lavorativo delle persone autistiche

Un importante e recentissimo lavoro di revisione [Burgess S. et al., 2014], analizzando l’andamento degli esiti occupazionali di un gruppo di 34.501 giovani adulti con disturbo autistico, dal 2002 al 2011 in vari paesi occidentali, ha dimostrato che il gruppo di giovani adulti riesce ad ottenere un lavoro con maggior facilità rispetto agli altri gruppi di giovani adulti con diverse disabilità, proprio per la presenza di punti di forza, le cosiddette isole di abilità tipiche dei soggetti autistici, come ad esempio, la maggiore attenzione ai dettagli.
Tuttavia, rispetto agli altri gruppi con diverse tipologie di disabilità, il gruppo di giovani adulti autistici ha lavorato meno ore, ottenuto salari meno alti e sono stati necessari maggiori costi per il loro inserimento lavorativo.Michael-W-folding-1-1024x768

Lo scarso successo nell’ottenere occupazioni lavorative che garantivano un salario minimo sembra essere direttamente collegato alla relativamente bassa probabilità di questo gruppo a partecipare a percorsi di istruzione post-secondaria o programmi di formazione che permettono esiti occupazionali più competitivi.

SatelliteRisulta, dunque, necessario consigliare e indirizzare le persone autistiche verso tipologie di lavoro come l’immissione dei dati, il controllo di qualità, lo stoccaggio di ripiani, i lavori in biblioteca, la posta, la pulizia delle camere, tutti lavori che richiedono una buona attenzione visiva, ponendo in essere, contemporaneamente, azioni di supporto educativo rivolte sia alle persone autistiche, sia a coloro che vi interagiscono durante i percorsi di formazione ed inserimento lavorativo. Infatti, gli studi sul funzionamento neuropsicologico delle persone autistiche hanno dimostrato che possono imparare attraverso mezzi e modalità che siano conformi ai loro stili cognitivi, non rispondenti ai normali sistemi educativi e occupazionali che potrebbero, invece, rivelarsi come situazioni di violenza al loro modo di funzionamento mentale.

Date queste premesse, è necessario che gli sforzi di inclusione sociale abbandonino la direzione della “normalizzazione” della persona autistica, che si è rilevata spesso fallimentare, favorendo la maturazione e la crescita dell’individuo attraverso percorsi qualificati e specifici di sviluppo delle competenze che realmente consentano, alle persone autistiche, di raggiungere un grado di autonomia personale, sociale e lavorativa, adeguato alle potenzialità di ognuno.
Sebbene i dati attualmente disponibili confermino la difficoltà di inserimento lavorativo dei giovani adulti autistici, tuttavia appare indispensabile, in una società civile, accettare la sfida di un reale inserimento lavorativo, rimuovendo gli ostacoli di ordine naturale, sociale, culturale ed economico, che impediscono a queste persone di realizzare pienamente la propria personalità anche attraverso il lavoro, elemento fondante per il miglioramento della qualità della vita per qualsiasi persona.

Lynn-Family-visit-1-1024x768Secondo un’indagine condotta nel 1999 in Italia dall’Osservatorio Autismo della Regione
Lombardia, nessuno degli autistici adulti identificati in tale regione (circa 145) aveva un
inserimento di livello superiore in un’attività produttiva competitiva sul mercato, seppure ottenuta con un’assunzione protetta e preceduta da training formativo.

Una recente indagine, analizzando gli esiti di 66 giovani adulti negli Stati Uniti che avevano concluso il percorso scolastico (19-26 anni) tra il 2004 e il 2008, ha rilevato che il 56% aveva partecipato a laboratori protetti o centri di attività diurni, il 12% non aveva occupazioni regolari, il 12% aveva un’occupazione assistita, mentre solo il 6% era inserito in un percorso di lavoro autonomo.

Rispetto alle possibili occupazioni di persone autistiche, è necessario rifarsi ad esperienze già realizzate che prevedono essenzialmente tre possibilità:
1) l’inserimento in laboratori protetti,
2) il collocamento lavorativo mirato,
3) l’inserimento lavorativo con formazione iniziale

Il primo è quello che permette alla maggior parte delle persone autistiche di raggiungere più facilmente un’occupazione, anche se molti laboratori protetti sono in realtà dei “contenitori” nei quali non viene svolto un vero e proprio lavoro, bensì semplici attività aventi quale finalità il mantenimento in esercizio piuttosto che l’immissione di prodotti o servizi nel mercato. In tali casi, il valore del lavoro come veicolo di autoaffermazione e autostima è fortemente compromesso e la mancanza di una valenza economica reale permette la deroga di molte competenze, quali la responsabilità, la qualità, la puntualità, la produttività, che sono alla base della crescita individuale e sociale per chiunque.
Il collocamento mirato per le persone con disabilità, presente in gran parte dei paesi europei e negli USA, è regolato in Italia dalla legge n.68/99. Si tratta di una modalità di inserimento lavorativo che prevede che una o più persone con difficoltà lavorino in un’azienda privata o pubblica a parità di contesto benché adattato e/o con il supporto di un operatore e/o con una specifica informazione – formazione del personale dell’azienda ospitante.
Il collocamento mirato, pur presentando numerose criticità, sembra rappresentare un efficace strumento soprattutto per le persone con disabilità motorie e sensoriali, mentre può risultare difficoltoso per le persone con disabilità psichica e in particolare per le persone autistiche.

Nelle persone con una disabilità psichica, soprattutto in presenza di un livello cognitivo adeguato, possono invece essere prospettate migliori possibilità con un inserimento preceduto da una formazione specifica sia delle persone autistiche che di coloro che dovranno interagire con loro, anche se appaiono rilevanti per il successo lavorativo, le abilità sociali, le capacità comunicative e auto organizzative, le capacità di indipendenza e di problem solving sviluppate negli anni di trattamento.

Autonomie personali:
preparazione per l’inserimento lavorativo

Bisogna considerare che l’autonomia personale non è solo un insieme di azioni, ma soprattutto una tensione psicologica. In quest’ottica, è di rilevanza fondamentale de-infantilizzare gusti e abbigliamento degli adolescenti autistici, spesso meno sensibili degli altri adolescenti alla pressione del gruppo e delle mode.

Ad esempio, l’attenzione alla musica “da bambini” dovrebbe evolversi in interessi musica_ipod_depresionmusicali adolescenziali, così come i film da ragazzi dovrebbero essere preferiti ai cartoni animati da bambini. Poiché molte persone autistiche manifestano preferenze che appaiono difficilmente modificabili, la persona andrebbe esposta a nuove musiche o filmati piuttosto precocemente, ma senza la pretesa immediata di un ascolto o di una visione attiva.
Inoltre, la “cameretta” dovrebbe essere trasformata in un ambiente di vita adolescenziale, nel rispetto delle preferenze della persona. Le ragazze possono, a seconda delle preferenze individuali, essere avviate all’uso del trucco e di accessori adeguati all’età.img_es_malo_maquillarse_todos_los_dias_30143_600

Anche l’abbigliamento andrebbe adattato all’età. Tutte le proposte educative, a prescindere dagli obiettivi specifici, dovrebbero essere elaborate con materiali adatti all’età cronologica. I compiti accademici dovrebbero essere fatti evolvere per avere come obiettivo una reale spendibilità in un contesto di vita in età adulta.

Allo stesso modo, anche la relazione che gli adulti hanno con i ragazzi andrebbe adeguata. Gli adulti dovrebbero gradualmente sostituire l’eventuale uso di un
linguaggio infantile, evitare di toccare la persona come se si trattasse di un bambino, ed evitare le richieste “infantili”. Perché questo avvenga, bisognerà insegnare alla persona autistica, fin dall’infanzia, che alcuni comportamenti (ad esempio, comportamenti affettivi) sono equivalenti ad altri, in modo che il ragazzo possa prima accettarli e in seguito preferirli (es. sorridere, invece di abbracciare, come manifestazione di affetto). I cambiamenti stessi andrebbero anticipati alla persona autistica, appena questo è possibile e al livello di comprensione della persona.

Questo compito è più facile se la persona non ha deficit del linguaggio o deficit intellettivo, oppure mostra comunque una capacità di simbolizzare. Esistono
alcune storie sociali esemplificative o materiale informativo già realizzato in merito [Wrobel: 2013].

Per i ragazzi con maggiori difficoltà, senza possibilità di simbolizzare, i cambiamenti come la necessità di radersi o l’arrivo delle mestruazioni devono essere spiegati in maniera molto concreta quando l’evento si presenta.

Se il ragazzo ha la possibilità di apprendere da modello, può essere esposto a modelli dal vivo o in video, precedentemente all’evento. Il ragazzo autistico andrebbe preparato alle scelte e a mantenere i suoi interessi. Contrariamente a quanto si affermava in passato, il mantenimento degli interessi personali, quando non pervade ogni istante della vita della persona, si rivela una fonte di motivazione e un alleato per l’espressione di un talento spendibile in ambito lavorativo. Allo stesso modo, insegnare al bambino finché è piccolo a esprimere delle scelte e a rifiutare può proteggere la persona da manipolazioni esterne ed evitare il presentarsi di comportamenti problematici.

Anche la gestione del tempo libero va insegnata alla persona fin dall’infanzia. Per DSCI0270definizione, le persone con autismo hanno interessi peculiari. I bambini tipici e quelli autistici giocano generalmente in maniera differente. I primi appaiono maggiormente interessati ai giochi sociali dei secondi, che sembrano invece interessati più agli aspetti percettivi degli oggetti e/o argomenti specifici, utilizzati o organizzati in maniera specifica (ed esempio la classificazione di animali di un’era particolare).

Sebbene, come già detto, gli interessi speciali vadano considerati positivamente, il gioco nel bambino e il tempo libero nell’adulto dovrebbero svilupparsi includendo una certa flessibilità e prevedendo anche la possibilità del gioco sociale, semplice o
con regole.

Di fondamentale importanza per l’adolescenza di tutti i ragazzi, tipici e autistici, è la possibilità di sviluppare buone abilità sociali. Nel bambino, appena possibile, anche prima di una diagnosi stabile, si dovrà cominciare a porre le basi per l’intersoggettività.

È utile cominciare ad intervenire al primo apparire dei sintomi, partendo dalla reciprocità sociale e dai comportamenti affettivi con gli adulti familiari. Gli obiettivi relativi alla socialità nei primi anni di vita riguardano i comportamenti di:
• Attenzione congiunta;
• Azione congiunta;
• Emozione congiunta;
• Spontaneità;
• Intenzionalità;
• Divertimento condiviso;
• Mimica e gestualità;
• Dirigere le interazioni all’interlocutore;
• Sostenere il dialogo nell’interazione;
• Coordinare sguardo, gesto e vocalizzo;
• Mostrare qualcosa di proprio;
• Commentare un evento interessante;
• Commentare un evento inatteso;
• Riconoscere gli stati emozionali;
• Mostrare empatia.

A partire dall’età di tre – quattro anni, in concomitanza con le attività della scuola 2011-09-04_IMG_2011-09-04_22_35_33_socimaterna, i bambini si “aprono” generalmente al mondo sociale e dei pari. A questa età è necessario porre le basi per i comportamenti sociali con i pari, con gli educatori e nei contesti allargati o pubblici, proseguendo nel lavoro fino alla fine della scuola elementare. Gli obiettivi per i bambini in età scolare, in generale, riguardano attività quali:
• Chiedere attenzione;
• Chiedere aiuto o chiedere una pausa;
• Tollerare la prossimità;
• Effettuare attività parallele;
• Condividere il materiale;
• Condividere qualcosa di proprio;
• Partecipare a giochi sociali semplici;
• Partecipare a giochi sociali con regole;
• Tollerare le attese;
• Rispettare il turno;
• Esprimere una scelta;
• Rifiutare;
• Etichettare stati emozionali;
• Regolare le reazioni emotive;
• Possedere routines sociali positive;
• Evitare routines sociali negative;
• Risolvere situazioni sociali complesse.

Gli adolescenti e gli adulti con grandi difficoltà comunicative dovranno essere inoltre messi in grado di esprimere preferenze in ambito sociale; essere flessibili in merito a comportamenti sociali ed eventi inattesi; essere in grado di autoproteggersi da situazioni sociali non gradite; apparire socialmente accettabili; mantenere comportamenti sociali corretti; mantenere comportamenti sessuali corretti; accettare i cambiamenti e il lutto.IMG_20171021_1553380
Per il gruppo di persone con un buon quoziente intellettivo e buone abilità verbali, gli obiettivi relativi alle abilità sociali comprendono le capacità di:
• riconoscere gli stili comunicativi (passivo, aggressivo, assertivo, pro-sociale);
• comprendere i concetti di ascolto attivo e di empatia;
• riconoscere le diverse espressioni emozionali;
• identificare le proprie caratteristiche personali (fisiche, cognitive ed emotive);
• poter parlare delle proprie caratteristiche personali;
• riconoscere e valorizzare i propri punti di forza, mantenendo un senso di realtà;
• riconoscere le caratteristiche dell’amicizia;
• riconoscere i diversi ruoli sociali;
• migliorare il proprio stile comunicativo, a livello non verbale e verbale;
• iniziare, portare avanti e terminare una conversazione diretta;
• rispettare i contenuti privati di una conversazione (mantenere un segreto);
• regolare il proprio comportamento a partire dalla comprensione degli stati mentali dell’altro;
• effettuare una conversazione telefonica;
• gestire rapporti virtuali (chat, e-mail, profili social network);
• migliorare l’espressività emotiva;
• gestire la rabbia e l’ansia;
• mostrare ascolto;
• mostrare empatia;
• fare critiche costruttive;
• fare complimenti;
• dire di si e dire di no;
• iniziare una conoscenza;
• gestire appuntamenti, amicizie, relazioni con un partner

Nel lavoro con gli adolescenti e con gli adulti, andranno considerati anche gli aspetti legati alla sessualità e all’espressione dell’affettività. Inoltre, benché pochi autori facciano riferimento all’argomento andrebbe considerata la relazione di attaccamento e distacco dai familiari, complessa in tutti gli adolescenti, e la possibilità che, con l’avanzare dell’età, la persona sia sottoposta ad un lutto.
Da un punto di vista comunicativo, è di assoluta importanza che la persona che cresce impari a fare richieste per se stessa. Queste richieste devono comprendere la possibilità di ottenere aiuto, ma anche che alcune situazioni ambientali (ad esempio di rumorosità) vengano modificate.
L’adolescente va preparato al più presto anche ad eventi negativi come il pericolo (es: Schermata_2017-09-06_a_08.53.34cosa fare se ti perdi); il tentativo di essere vittima di un abuso fisico, sessuale, psicologico, farmacologico o indotto all’uso di sostanze stupefacenti o alcol. Inoltre, l’adolescente va preservato da fenomeni quali il bullismo, da truffe e raggiri economici, utilizzo dei social media per scopi devianti. In altre parole, va insegnata l’auto-tutela. Sull’argomento si è espressa anche Luisa Di Biagio, una psicologa autistica, la quale consiglia che all’adolescente venga suggerito di avere tre referenti di fiducia differenti a cui rivolgersi in caso di dubbi su eventi sociali. Questo consentirebbe di confrontare le risposte prima di prendere decisioni potenzialmente nocive per la sua esistenza.

Per ottenere quanto detto è necessario agevolare le idee e il brainstorming sul futuro del giovane adulto (valutazione); iniziare a pianificare gli obiettivi futuri (scrivere gli obiettivi); preparare la transizione (intervenire per sviluppare gli obiettivi); anticipare gli ostacoli e risolvere i problemi.
La valutazione formale viene effettuata con test o strumenti specifici mentre la valutazione informale comprende osservazioni, colloqui, raccolta di informazioni organizzate appositamente.
Intervenire nella prospettiva che il futuro adulto (sia esso neurotipico o neurodiverso) svolga un ruolo professionale attivo, presuppone che sappia svolgere attività in modo adeguato e opportuno come nel sapersi comportare, svolgere le abilità di lavoro attese e richieste, rispettare le regole. In senso stretto è fondamentale avere una normale funzionalità dell’orientamento e dell’attenzione sostenuta; comprendere le consegne; sapersi organizzare il lavoro in modo autonomo; avere buone motivazioni e saper gestire situazioni critiche e difficoltà tecnico pratiche.

Dalle esperienze lavorative maturate dalle persone autistiche è possibile individuare una serie di punti di forza quali: la puntualità; la precisione; le poche assenze; l’attaccamento all’azienda e la lealtà.

Tra i punti di debolezza invece troviamo: la scarsa flessibilità, la necessità di supervisione, la difficoltà nel contatto sociale e nella comunicazione, la gestione delle variabili “psicologiche” (flessibilità, autostima, motivazione, etc.). Ulteriori criticità provengono direttamente dai sottosistemi economici e del lavoro e riguardano le scarse opportunità reali di lavoro; una politica economico-sociale che favorisce ancora poco l’inserimento lavorativo delle persone autistiche; la scarsa disponibilità delle aziende e la preparazione del personale.unnamed
Una strategia utile per l’inserimento sociale e lavorativo della persona autistica è l’esperienza del compagno adulto. Questa è una figura specializzata con specifica formazione, dello stesso sesso e con un’età all’incirca uguale alla persona che segue. Tale figura ha il compito di seguire la persona autistica in situazioni di vita quotidiana (es: università, tempo libero, hobby, etc.) assumendo più che altro il ruolo di “mediatore sociale” con l’obiettivo di rendere la persona affiancata indipendente in modo graduale.

Ragionare su un Progetto di Vita (e quindi sulla transizione dall’età evolutiva all’età adulta) di un individuo vuol intendere rimuovere o arginare ogni forma di barriera che impedisce ogni tipologia di attività e di partecipazione nella vita sociale e per questo è indispensabile consentire quanti più facilitatori.
La progettazione di un percorso di vita deve necessariamente:
• definire le caratteristiche psicofisiche;
• considerare le peculiarità dell’ambiente sociale e ambientale di riferimento;
• valutare eventuali barriere;
• osservare i facilitatori esistenti;
• individuare altri facilitatori che possono migliorare le performance individuali;
• coinvolgere i caregivers (genitori, figli, etc.) e individuare le agenzie di socializzazione per favorire il processo di inserimento sociale (scuola, enti locali, aziende, aziende sanitarie, privato sociale, associazionismo, rete degli esercenti, etc.).
Utilizzare l’ICF per un Progetto di Vita significa innanzitutto definire i domini (item) necessari per individuare le peculiarità psico-fisiche e sociali di un individuo al fine di programmare gli interventi, potenziare le abilità, valutare eventuali progressi e regressi (follow up) e migliorare il processo di inserimento sociale e lavorativo attraverso un sistema di programmazione retroattiva(feedback)

E’ interessante sapere il livello di gravità dei qualificatori (capacità e performance). Se consideriamo gli autistici, gli item di riferimento riguardano essenzialmente:
– Apprendimento e l’applicazione delle conoscenze (guardare, ascoltare, copiare, ripetere, imparare e saper leggere-scrivere e calcolare, risolvere problemi, prendere decisioni);
– Compiti e richieste generali (intraprendere un compito singolo e/o articolato; eseguire la routine quotidiana; gestire le tensioni e altre richieste di tipo psicologico);
– Comunicazione (comunicare con – ricevere – messaggi verbali e/o non verbali; parlare,
produrre messaggi non verbali compreso il linguaggio dei segni; scrivere messaggi;
conversare; discutere; utilizzare strumenti e tecniche di comunicazione);
– Mobilità (camminare, spostarsi, guidare, usare un mezzo di trasporto, etc.)saglikli-saclarda-bakim-onerileri
– Cura della propria persona (lavarsi, curare parti del corpo, gestire i bisogni corporali, vestirsi, mangiare, bere, prendersi cura della propria salute);
– Vita domestica (procurarsi beni e servizi; preparare pasti; fare lavori di casa; prendersi cura di cose e persone);
– Interazioni e relazioni interpersonali (interazioni semplici e complesse; entrare in relazioni con estranei; gestire le relazioni formali e informali così come le relazioni intime);
– Area di vita principali (ovvero riguarda lo svolgimento dei compiti e delle azioni necessari per impegnarsi nell’educazione, nel lavoro e nell’impiego e per condurre transazioni economiche);
– Vita sociale, civile e di comunità (riguarda le azioni e i compiti richiesti per impegnarsi nella vita sociale fuori dalla famiglia, nella comunità, in aree della vita comunitaria, sociale e civile come: associazioni informali e formali, attività di tempo libero e ricreazione; partecipazione di attività religiose o spirituali; vita politica e di cittadinanza)

Fattori Ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza. Per questo motivo, questi giustificano ogni forma di limitazione o restrizione delle componenti di Attività e Partecipazione attraverso l’individuazione di barriere (o al contrario di facilitatori). Tra i fattori ambientali si considerano prevalentemente prodotti e tecnologie:
– per il consumo personale (cibo e farmaci);
– per l’uso personale nella vita quotidiana (indumenti, mobili, apparecchiature, protesi, etc.)
– per la mobilità e il trasporto in ambienti esterni e interni (autobus, metro, automobili, sedie a rotelle, etc.);
– per la comunicazione (apparecchi audiovisivi, telefoni, computer ma anche occhiali e
apparecchi acustici);
– per l’istruzione (libri, manuali, giocattoli educativi, calcolatori, etc.)
– per il lavoro (arnesi, scrivanie, calcolatori, etc.).
Inoltre, tra i fattori ambientali è indispensabile considerare:
– Ambiente naturale (clima, luce, suono, qualità dell’aria);
– Relazioni e sostegno (famiglia ristretta e/o allargata, amici, conoscenti, colleghi, vicini di casa, insegnanti, datori di lavoro, persone che forniscono aiuto o assistenza, operatori sanitari, animali domestici);
– Atteggiamenti (di familiari, amici, coetanei, colleghi, vicini di casa, conoscenti, operatori di servizi, etc.);
– Servizi, sistemi e politiche in grado di garantire e tutelare i diritti del cittadino.

Il lavoro per le persone autistiche è possibile. Non soltanto per quelle ad alto funzionamento, ma anche per le persone con forme di autismo più gravi.
Nel mondo le principali esperienze di inserimento lavorativo di persone autistiche in aziende o enti riguardano solo l’alto funzionamento (NAS, Specialisterne, etc.), spesso con postazione di lavoro adattata. L’esperienza italiana mostra, però, che anche nei casi di autismo medio-grave l’inserimento può essere proposto attraverso laboratori in imprese sociali, purché siano organizzate non come ambulatori per terapie occupazionali, ma come veri e propri luoghi di lavoro, con inquadramenti appropriati e una gestione imprenditoriale delle attività.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata il 13 dicembre 2006 e ratificata in Italia con Legge 3 marzo 2009, n. 18, all’articolo 24, “Istruzione”, fa riferimento allo sviluppo del potenziale e del senso di dignità, del talento e della creatività delle persone disabili. L’articolo 26, “Abilitazione e riabilitazione”, sottolinea l’importanza di misure di inclusione sociale ed inserimento mirato, mentre l’articolo 27, “Lavoro ed impiego”, proibisce la discriminazione e prevede che siano protetti i diritti egualitari, le opportunità e la formazione professionale dei disabili al lavoro e agli altri più generali diritti paritari alla mobilità, alle cure, alla giustizia e al benessere.la-genialidad-creativa-que-nace-de-la-diversidad_articuloApaisada

Eppure gli ostacoli all’inserimento lavorativo di persone con disabilità nel mercato del lavoro sono ancora notevoli in Italia. Nel Programma biennale per la disabilità presentato dal Governo nel 2013, si riconosce implicitamente il fallimento della L. 68/99 descrivendo la situazione drammatica nel nostro Paese del diritto al lavoro dei disabili (750mila iscritti nelle liste contro soli 22mila avviamenti l’anno). Si legge, infatti, nel documento:

Il lavoro rappresenta un elemento essenziale dell’inclusione sociale. La legislazione
italiana, con la legge 68/99, ha introdotto la metodologia del collocamento mirato che
inserisce la persona giusta al posto di lavoro appropriato, sostenendola con adeguati incentivi e facilitazioni […] Il tasso di inattività dei lavoratori con disabilità è molto elevato, soprattutto femminile (dato confermato da varie ricerche europee). La presenza prolungata di persone con disabilità nelle graduatorie del collocamento mirato è elevata, mentre le scarse opportunità di lavoro dissuadono dall’aspettativa di un lavoro e dall’iscrizione al collocamento.

Se è vero che il tasso di disoccupazione dei disabili è 4 volte più alto dei normo tipici, nel caso dell’autismo esso diventa ancora più grave: l’inserimento sociale e lavorativo delle persone autistiche è ritenuto così complesso, che, secondo una recente indagine Censis, solo una persona su 10 con disturbo dello spettro autistico trova oggi lavoro.

Le difficoltà nascono non solo per l’inadeguatezza dello strumento legislativo, ma anche per l’assenza di servizi di accompagnamento specializzati nell’inserimento di disabili e, in particolare, di persone autistiche. I servizi di vocational rehabilitation negli Stati Uniti hanno da tempo sottolineato la necessità di specializzare gli operatori di inserimento lavorativo nell’abilitazione professionale di persone autistiche, riconoscendo l’esigenza di dotare questi operatori di specifici strumenti.

Del resto, la cultura del supported employment ha da sempre favorito lo
sviluppo di servizi di accompagnamento al lavoro specializzati nella disabilità.
L’accordo della Conferenza Stato-Regioni sulle Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità degli interventi, in particolare nei disturbi dello spettro autistico del 22.11.2012, ha sottolineato la priorità di «potenziamento di strutture diurne e delle attività di inclusione sociale e nel mondo del lavoro per le persone autistiche». Anche il successivo e più ampio accordo della Conferenza Stato-Regioni sul Piano di azione nazionale per la salute mentale del 24.01.2013 ha inserito fra le azioni programmatiche “le prestazioni assistenziali e socio-riabilitative, compresi programmi di reinserimento sociale e lavorativo”.

 

 

 

Fonte: startautismo.

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