Un bambino autistico diventerà un adulto autistico. Ma sembra non se ne accorga nessuno

 

Sembra scontato, vero?
Eppure, sembrerebbe che nessuno (a cominciare da molti genitori, passando per la scuola, poi per la Società ed infine per lo Stato) se ne renda davvero conto.
L’autismo è una condizione che dura per tutta la vita. Chi nasce autistico non cambierà mai la sua condizione nel tempo. Si può variare da individuo a individuo, ma l’essenza resta. Tutte le evidenze di cui disponiamo, in particolare quelle provenienti dagli studi “di popolazione”, testimoniano che, qualunque siano stati gli interventi o i cambiamenti ottenuti, i bambini autistici diventano quasi sempre (più del 90% dei casi) adulti autistici.

Malgrado questa sia la realtà che caratterizza la gran parte delle persone autistiche che avanzano con l’età, si fa ancora molta fatica ad uscire dalla dimensione dell’infantile, per sviluppare quella del progetto di vita. Alla diagnosi di autismo a vita che ci danno nel centro di neuropsichiatria infantile, non seguono mai concrete azioni da parte di nessuno, volte a migliorare la condizione dell’autistico e della sua famiglia. Anzi, spesso veniamo lasciati soli, terribilmente soli.

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L’autismo non si limita all’età evolutiva: non si è autistici soltanto mentre si è bambini. Ma quando si è bambini è bene sfruttare le risorse dell’età per insegnare tutte le competenze possibili al bambino che poi diventerà adulto e dovrà cercare, nel limite del possibile, di cavarsela “da solo”.
Nonostante i Manuali, la Scienza, lo Stato s’impegnino vergognosamente nel trasformare gli adulti autistici in esseri privi di qualunque forma pensante, noi ben sappiamo che più un bambino viene messo nella condizione di imparare, e maggiore sarà la qualità della sua vita in età adulta.

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Per questo motivo, io, da quando Ares ha 4 anni, mi leggo testi sulla sessualità, mi vedo documentari sugli autistici adulti, mi nutro delle esperienze dei genitori con ragazzi autistici trentenni, quarantenni, senza preclusioni di nessun genere, senza pensare: “no, è troppo presto”, “un passo alla volta”, “ci penserò dopo“. NO! Io devo essere pronta, devo sapere. Devo prevenire, devo capire! Quello che mio figlio riesce ad imparare a 6 anni, gli rimane anche in età adulta (e non parlo soltanto della didattica), parlo delle autonomie: cucinare, vestirsi, allacciarsi le scarpe.
L’approccio educativo, l’insegnamento di un autistico deve essere costante, ed è questo che lo Stato dimentica. Se lo Stato ti offre qualcosa (quasi nulla) lo fa quando tuo figlio è piccolo. Dopo la maggiore età lo rende invisibile, come se non fosse più necessario educarlo, come se non fosse nessuno. La maggior parte delle strutture che si occupano dei giovani autistici si limitano alla prescrizione di farmaci psicotropi, sottovalutando gli effetti migliori e più duraturi di una terapia comportamentale fatta bene.
Arrivati quindi all’età adulta, senza un adeguato intervento educativo durante l’infanzia, si rende tutto difficile: l’inserimento lavorativo innanzitutto, ma anche l’interazione sociale, le abilità, il comportamento. L’evoluzione positiva dei sintomi nell’autismo è direttamente proporzionale al lavoro realizzato nell’infanzia, all’acquisizione di competenze linguistiche, al lavoro impostato per raggiungere capacità nella gestione della vita quotidiana.

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Basta guardare le statistiche sull’autismo in Italia,  per renderci conto che, più passa il tempo, e più la società incontrerà sempre più adulti autistici, così come il mondo del lavoro si troverà a confrontarsi con essi nelle loro multisfaccettature.
Tuttavia, si fatica ancora molto nel creare un collegamento fra gli interventi dei servizi dell’infanzia e quelli per gli adulti affinché i giovani autistici possano, in maniera più agevolata, superare le difficoltà nel loro percorso verso la vita.
L’autismo, in sostanza, non è solo “infantile” e va affrontato e pensato, di conseguenza, in un’ottica di ciclo di vita. Non a caso, del resto, dalla definizione del DSM IV scompare non solo il sostantivo “psicosi” (e certo non c’è spazio qui per riflettere sulla quantità di cose implicate nel passaggio terminologico, per nulla innocente, dalla nozione di “psicosi” a quella di “disturbo generalizzato dello sviluppo”), ma anche l’aggettivo “infantile”. L’autismo è “infantile” allo stesso modo in cui è “giovanile” il diabete giovanile.
Di fronte a questo quadro è difficile pensare che la psichiatria degli adulti possa continuare ad ignorare la questione. Del resto, la maggior parte delle circa 60.000 persone autistiche che, secondo le stime di prevalenza, presumibilmente vivono in Italia sono adulti che, nella quasi totalità dei casi, non hanno mai neppure ricevuto una diagnosi, oltre che interventi appropriati.
Una proposta di studio curata dal prof. Carlo Hanau

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presentata dal Lions Club di Bologna San Lazzaro proposta come Tema dell’anno per l’Italia al 65° Congresso Nazionale (e che pubblico per intero QUI, dice quanto segue:
L’autismo spesso si aggrava con l’aumentare dell’età. Se non si usano precocemente interventi educativi-abilitativi realmente efficaci, il bambino, diventando grande, assume comportamenti così problematici che la famiglia, per assisterlo, diventa essa stessa autistica: prima si chiude in se stessa e poi rischia di scoppiare.

Il costo di una vita di una persona autistica grave è enorme, sia in termini di dolore, che monetari (circa 3 milioni di Euro).

L’Italia dedica moltissime risorse all’inclusione scolastica e sociale, ma i risultati nel caso degli allievi autistici sono scarsi perché manca la necessaria formazione specialistica, la supervisione e l’aggiornamento. Si assiste al paradosso per cui il nostro Paese, che spende più risorse di tutti, ottiene risultati molto modesti.

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L’educazione intensiva, riducendo la gravità, consente grandi risparmi nelle spese, sopra tutto nella fase del “dopo di noi”. Dovrebbero rifletterci tutte le figure che convergono nella vita di una persona con autismo: dalla diagnosi in età evolutiva, fino all’età adulta.
La grande eterogeneità dell’autismo e della sue evoluzione richiede un arco differenziato di interventi. E’ oramai assodato che un contesto abilitativo adeguato alle caratteristiche profonde dell’autismo dovrebbe essere semplice, stabile, coerente, ricco di stimoli significativi, aperto all’esterno e all’integrazione, ma modulabile sulle condizioni dei singoli soggetti e sulle caratteristiche del disturbo. Molti comportamenti problematici sono, ad esempio, risposte a un eccesso oppure a un difetto di situazioni e stimoli significativi.
Insomma, un bambino autistico sarà un adulto autistico e sarebbe meglio che ne prendano atto TUTTI, ma proprio TUTTI.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bigliografia:
(Barale-Ucelli di Nemi). Il disturbo autistico in età adulta

5 commenti

    1. autismocomehofatto

      Sergio sinceramente non saprei, ho l’esperienza dell’Italia, paese dove vivo e di Cuba, paese dove sono nata! E qualche riferimento dei paesi dell’Europa, ma non per esperienza vissuta! Mi permetto di parlare di questo: l’Italia, dove cresceranno i miei figli, soprattutto quello autistico, che ha 16 anni e fra due anni ne avra’ 18, eta’ in cui “sparira’ il suo autismo per lo Stato, e diventera’ un pazzo qualunque, destinato ai centri diurni!

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